Patologie
e cure

nella terapia del dolore

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PATOLOGIE TRATTATE 
⦁ Lombalgia e lombosciatalgia
⦁ Cervicalgia e cervicobrachialgia
⦁ Stenosi del canale vertebrale
⦁ Ernie o protrusioni del disco
⦁ Fratture vertebrali
⦁ Sindrome delle faccette articolari
⦁ Infiammazione dell’articolazione sacroiliaca
⦁ Cefalea

TRATTAMENTI:
⦁ Terapie infiltrative
⦁ Agopuntura
⦁ Denervazione delle faccette articolari
⦁ Peridurale
⦁ Periduroscopia
⦁ Trattamenti intradiscali
⦁ Crioterapia
⦁ Denervazione dell’articolazione sacroiliaca

PROBLEMATICHE

Il mal di schiena è uno dei problemi più diffusi nella popolazione mondiale, il 75-l’85% degli Italiani hanno sofferto o soffrono di qualche forma di mal di schiena durante la loro vita. Il mal di schiena è il secondo motivo di richiesta di visita medica e, dopo l’influenza, è la principale causa di perdita di giornate lavorative nelle persone con meno di 45 anni. Colpisce la regione lombare e sacrale; se si irradia all’arto inferiore viene comunemente indicato come lombosciatalgia. Il dolore che origina dalla regione lombare può essere prodotto da diverse cause, uno sforzo eccessivo o una caduta che produca un trauma; oppure patologie cronico-degenerative (es. artrosi o discopatie). La risposta dell’organismo al dolore si associa spesso ad una contrattura della muscolatura lombare, che aumenta la sensazione dolorosa, accompagnandola a una marcata difficoltà nel movimento del tronco. Il dolore si divide comunemente in: – acuto, quando dura 2/3 mesi e alla fine del trattamento si guarisce completamente in tempi rapidi – cronico se persiste dopo il 3 mese e deve essere trattato con rimedi specifici La maggior parte degli episodi di dolore lombare acuto sono dovuti ad un eccessivo stiramento dei muscoli o dei legamenti.
Stenosi del canale vertebrale E’ una condizione dovuta al graduale restringimento del canale vertebrale, che si verifica come conseguenza della degenerazione sia dei dischi intervertebrali che delle faccette articolari. Si formano degli speroni ossei, detti osteofiti, come conseguenza dell’eccessivo carico sul disco intervertebrale e per il progredire dell’artrosi della colonna vertebrale (spondilosi). Questi osteofiti tendono a ridurre il diametro del canale vertebrale. Le faccette articolari si allargano e si deformano andando a ridurre ulteriormente lo spazio a disposizione delle radici nervose e del midollo spinale. Con il progredire della stenosi, questo processo può portare al contatto e alla compressione delle radici nervose e del midollo spinale. Il motivo per cui ciò causa dolore e debolezza alle gambe ancora non è conosciuto con esattezza, può essere associato alle compressione dei vasi vascolari che portano il sangue alle radici nervose, che innervano i muscoli.
E’ una patologia del disco intervertebrale in cui la parte interna, chiamata “nucleo polposo”, esce dalla sua sede facendosi strada attraverso le lamelle del anulus fibroso. L’anulus è la struttura deputata a contenere il nucleo e costituisce il contorno esterno del disco. Se la fuoriuscita del nucleo comprime una radice nervosa, il dolore si può propagare nel territorio innervato da quella radice. Infatti, tra due vertebre esiste sempre una coppia di nervi spinali che vanno poi a innervare una specifica area del corpo. A sua volta, la compressione di uno di questi nervi spinali provoca dolore nella parte del corpo da essi innervata. Le due posizioni in cui si verificano la grande maggioranza (circa il 98%) delle ernie del disco dolorose sono gli ultimi due spazi intervertebrali, cioè L4-L5 e L5-S1. La maggior parte degli episodi di rottura dell’anulus del disco avvengono fra i 30 e i 40 anni, quando la consistenza del nucleo è ancora in sostanza gelatinosa.

La tipologia di frattura vertebrale più comune è quella da compressione, causata di solito da una caduta in un soggetto che ha l’osteoporosi.

Quelle a scoppio sono dovute a un carico violento che provoca il cedimento del muro posteriore e anteriore, si riduce così l’altezza della vertebra. E’ un tipo di frattura instabile che necessita immediatamente la stabilizzazione.
Le fratture da Flessione/Compressione si verificano, in genere, tra T1 e L1 e hanno una conformazione a cuneo. È un tipo di frattura più stabile, ma potrebbe peggiorare velocemente.

E’ una condizione clinica tipica delle persone con età superiore ai 65 anni, quando il tessuto osseo si riduce (circa del 30%) ed è meno compatto e più fragile rispetto al suo standard. Il picco della nostra struttura scheletrica si raggiunge, infatti, intorno ai 20 anni. Proprio a causa di questi dati, la perdita di tessuto osseo è, entro certi limiti, un fenomeno fisiologico piuttosto che una malattia. Se però una persona ha una quantità di tessuto osseo inferiore a quella media per età e sesso, si parla di osteoporosi come patologia. La complicanza più frequente dell’osteoporosi è una frattura. Quando questa riguarda una vertebra si parla di crollo o frattura vertebrale.

E’ un dolore che inizia a livello delle anche o dei glutei e si diffonde per tutta la lunghezza della gamba fino al piede.
Questa condizione spesso si accompagna a dolore lombare che può essere più o meno intenso del dolore all’arto inferiore.
Il termine “sciatica” indica che il nervo sciatico, che si estende dalla parte bassa della schiena attraverso i glutei e lungo la gamba, è ritenuto la causa del dolore in questa condizione.
La sciatica vera è una condizione che si verifica quando un disco lombare erniato comprime una delle radici che vanno a formare il nervo sciatico.
Questo tipo di meccanismo di dolore lombare è meno comune rispetto ad altre cause di lombalgia.
Per esempio, attività sportive o lavori pesanti possono causare dolore lombare e all’arto inferiore che viene spesso scambiato per sciatica.
La sfida per il medico è distinguere tra un dolore radicolare che è causato da una radice infiammata e un dolore riferito che è il risultato di uno stiramento muscolare o una distorsione.

Il sintomo più comune della sciatica vera è un dolore nella parte posteriore della coscia, nella parte inferiore della gamba o al piede che può essere di intensità più elevata del mal di schiena.
Solitamente, il paziente riferisce che il dolore di intensità da moderata a severa, inizia a livello del gluteo e percorre la gamba verso il piede.
È importante sapere che la sciatica vera produce un dolore che si irradia oltre il ginocchio.
Spesso il paziente riferisce di avere avuto un episodio di dolore lombare, iniziato alcuni giorni o settimane prima che comparisse il dolore alla gamba, poi il dolore alla gamba è diventato più intenso del dolore lombare e, in alcuni casi il dolore lombare scompare completamente.
Comunque nel caso di una sciatica di lunga durata, il dolore può gradualmente localizzarsi ai glutei e nella parte posteriore della gamba. In questa situazione, il paziente può avere un vago senso di dolenzia che non raggiunge la parte inferiore della gamba o il piede, come invece nelle prime fasi di comparsa del dolore.
Spesso non c’è uno specifico evento traumatico o un movimento associato all’insorgenza della sciatica. Stare in piedi, sollevare pesi, starnutire o andare in bagno può aggravare il dolore. Stare sdraiati di solito è la posizione più comoda. Occasionalmente la sciatica si accompagna a parestesie, debolezza e deficit della funzione degli sfinteri.

La Discopatia Degenerativa è un processo naturale dovuto all’invecchiamento dell’organismo. Infatti, invecchiando, i dischi intervertebrali perdono progressivamente flessibilità, elasticità e capacità di assorbire traumi. Gli strati di tessuto fibroso che circondano i dischi (anulus fibroso) diventano fragili e quindi più propensi a strapparsi e cedere. Contemporaneamente, la parte centrale del disco, che è soffice e gelatinosa, si disidrata e si restringe.    È stato dimostrato come nella Discopatia Degenerativa i dischi diventino più sensibili agli stimoli esterni (posizioni, movimenti, aumenti di pressione…), a causa di una aumentata innervazione sensitiva rispetto ai dischi sani.   La diagnosi inizia con una visita medica completa: il medico esamina la schiena concentrandosi sul dolore locale alla palpazione, flessibilità, range di movimento e la presenza di alcuni segni più comuni di sofferenza radicolare, dovuta alle modifiche degenerative della colonna vertebrale. La visita include la valutazione di: forza muscolare, riflessi, sensibilità cutanea.

La protrusione discale è un tipo particolare di patologia del disco intervertebrale in cui, la parte interna (chiamata nucleo polposo), a causa delle pressioni esercitate sul disco da alcuni fattori (come il peso corporeo, le attività lavorative, le attività sportive, i movimenti e le posizioni del corpo…), cerca di fuoriuscire dal disco facendosi strada attraverso le lamelle che formano il guscio esterno del disco (anulus).

Generalmente, l’anulus è in grado di evitare che questo accada.
In alcuni casi però, le lamelle che costituiscono questo rivestimento esterno del disco, possono rompersi, rendendo lo strato protettivo più sottile e meno resistente all’aumento delle pressioni interne, causate appunto dalla tendenza del nucleo polposo a spingere verso l’esterno.

In questo caso, si crea un rigonfiamento sulla superficie esterna del disco. Questo rigonfiamento è chiamato “protrusione”

In genere le protrusioni sono quasi del tutto asintomatiche.
Se però, esse si formano nella zona postero-laterale del disco, cioè nella zona di passaggio della radice del nervo, si può creare una pressione sul nervo stesso, che verrà avvertita come dolore irradiato all’arto inferiore (nel caso di un disco lombare) o superiore (nel caso di un disco cervicale).

La sintomatologia può essere quindi molto simile a quella di un’ernia espulsa, pur in assenza di una vera e propria ernia (che invece è determinata dalla fuoriuscita di parte del materiale interno del disco, cioè il nucleo polposo).

Il dolore è legato:
• alla pressione che il disco esercita sul nervo
• all’infiammazione che questo fenomeno comporta
• alla liberazione di alcune sostanze in grado di dare origine a dolore, che vengono liberate nella zona di contatto tra disco e nervo.

La cefalea tensiva è la cefalea primaria più frequente, con una prevalenza nella popolazione del 46%.
È caratterizzato da un dolore bilaterale, a localizzazione ed intensità variabile da lieve a forte. Il dolore è di tipo gravativo-costrittivo, cioè descritto come “un peso” o “una morsa che stringe”, che non peggiora con l’attività fisica e, generalmente, non impedisce di svolgere le normali attività quotidiane.
La durata di un attacco varia dai 30 minuti ai 7 giorni e non sono ancora chiari quali meccanismi ne siano alla base. L’ipotesi più accreditata è quella di un’origine multifattoriale, in cui concorrono dolorabilità dei muscoli del cranio e del collo, insieme a una disregolazione delle strutture implicate nel controllo cerebrale del dolore.
Questa tipologia di mal di testa può colpire, inoltre, anche chi soffre già di cefalea o emicrania cronica.
Le terapie consigliate infatti prevedono l’assunzione di farmaci analgesici e antinfiammatori da automedicazione per bloccare e ridurre l’intensità dell’episodio, e una profilassi farmacologica o non farmacologica in alcuni pazienti.
Nel linguaggio comune il mal di testa da cervicale è un dolore che si localizza o esordisce nella regione cervicale ed è un sintomo che può avere maggiore durata rispetto alla cefalea tensiva e all’emicrania.
Occorre tuttavia precisare che, spesso, il dolore localizzato a livello cervicale è l’espressione di alcune forme di cefalea primaria, quali la cefalea tensiva e l’emicrania.
La cefalea da distorsione cervicale (noto come “colpo di frusta”) è attribuita ad un trauma cranico e/o cervicale. Nella forma acuta la cefalea si risolve entro 3 mesi dal trauma, e può presentarsi come sintomo isolato oppure nel contesto di una costellazione di sintomi che comprendono vertigini, dolore al collo, alle spalle e/o al braccio, stordimento, affaticabilità, disturbi dell’umore, insonnia, difficoltà di concentrazione e di attenzione.
Caratteristiche che tendono a distinguere le cefalee causate da patologie della colonna cervicale dall’emicrania o dalla cefalea tensiva comprendono: un dolore laterale fisso, la riproduzione della cefalea tramite la pressione sui muscoli del collo o il movimento del capo e l’irradiazione del dolore alla spalla o al braccio.
La diagnosi quindi si basa su una dettagliata raccolta della storia del paziente, su un esame obiettivo completo e, in caso di trauma o di sospetta patologia della colonna cervicale, sull’esecuzione di opportune indagini strumentali e di laboratorio. La terapia dipende dalla patologia sottostante e comprende terapie farmacologiche e di riabilitazione.
Vista la lunga durata del sintomo, un farmaco dalla prolungata azione analgesica consente di intervenire per bloccare prontamente il manifestarsi di episodi con dolore continuo e che possono peggiorare in intensità.

L’emicrania è una cefalea primaria che interessa il 14% della popolazione mondiale.
E’ caratterizzata dalla presenza di attacchi di cefalea ricorrenti di durata compresa tra 4 ore e 3 giorni, che si localizza in modo unilaterale, cioè da un solo lato del capo. Il dolore, in genere, ha carattere pulsante e peggiora con l’attività fisica e il movimento (salire le scale, abbassare il capo) rendendo difficoltosa l’esecuzione delle abituali attività quotidiane.
Il mal di testa è associato a sintomi come nausea, vomito e ipersensibilità a luci, rumori e odori (foto-fono-osmofobia), costringendo spesso chi ne soffre a ricercare riposo psico-sensoriale in un ambiente buio e silenzioso durante l’attacco. La fase di emicrania conclamata può essere preceduta da sintomi neurologici focali, di solito visivi e completamente reversibili, che prendono il nome di aura e che distinguono l’emicrania nelle sue due forme, con e senza aura.
I numerosi studi condotti fino ad oggi non hanno chiarito i meccanismi alla base dell’emicrania. Attualmente, è considerata una patologia multifattoriale alla cui origine concorrono sia fattori ambientali che genetici.
I fattori scatenanti, interni o esterni all’organismo (alcuni alimenti, ansia, depressione, stress, rilassamento dopo lo stress, alterazione del ciclo sonno-veglia, modificazioni degli ormoni sessuali femminili, alcuni farmaci, ecc..), agiscono su un “cervello speciale”, un cervello che produce meno energia e consuma di più, determinando l’attacco emicranico.  Trattandosi quindi di una cefalea primaria, l’uso routinario di esami (tomografia computerizzata, risonanza magnetica, elettroencefalogramma o altri) non è giustificato, mentre è importante agire tempestivamente, già alla comparsa dei primi sintomi, con una terapia farmacologica d’attacco.
Per bloccare la crisi in arrivo, ridurre l’intensità del dolore e dei sintomi associati possono essere utilizzati analgesici e antinfiammatori da automedicazione. Per chi invece soffre di emicrania frequente o di attacchi particolarmente invalidanti e/o resistenti alla terapia d’attacco, è indicata la terapia di profilassi o farmaci più specifici da concordare con lo specialista.

La nevralgia del trigemino è una malattia rara, conosciuta anche con il nome di “tic doloroso”, causata dalla pressione esercitata da un vaso sanguigno sul nervo trigemino che, ipereccitato da questa pressione, invia segnali di dolore inappropriati in risposta a stimoli altrimenti innocui.
E’ il più comune dei dolori facciali e colpisce più frequentemente il sesso femminile, principalmente dopo i 50 anni.
E’ caratterizzata da attacchi di dolore improvviso ed estremamente intenso e lancinante, spesso descritto come una scossa elettrica, che si localizza ad un lato del viso in corrispondenza del nervo trigemino – a livello di guancia-ala del naso o al labbro inferiore-mento.
Gli attacchi hanno una durata variabile da pochi secondi fino ad un massimo di 2 minuti e possono essere spontanei o innescati da stimoli innocui quali mangiare, parlare, sbadigliare, lavarsi i denti, farsi la barba o prendere una corrente d’aria.
Il decorso della malattia è molto spesso intermittente: lunghi periodi di attacchi frequenti sono seguiti da settimane, mesi o anni liberi da dolore anche se nella maggior parte dei soggetti la frequenza tende a peggiorare nel tempo con periodi liberi da attacchi sempre più brevi.
Il trattamento della nevralgia del trigemino è finalizzato alla prevenzione degli attacchi con farmaci che vanno concordati con il neurologo e assunti nelle dosi e con le modalità consigliate.

La nevralgia posterpetica è una sintomatologia dolorosa che può insorgere come conseguenza di un herpes zoster.
Solitamente il dolore neuropatico è localizzato nella stessa regione cutanea in cui si è sviluppata l’eruzione erpetica, ed in genere compare quando le lesioni cutanee sono in via di guarigione. Raramente è possibile che si manifesti una nevralgia in assenza di evidenti segni cutanei. Si parla in tal caso di zoster sine herpete.
La sintomatologia fastidiosa si può configurare come semplice prurito, formicolio o vero e proprio dolore e deriva dal danneggiamento delle vie nervose causato dal virus varicella-zoster (VZV) che è un virus neurotropo. I sintomi possono perdurare per diversi mesi.
Dopo l’infezione iniziale, il virus della varicella potrebbe giacere nel corno dorsale del midollo spinale per decenni prima che la sua sgradita presenza diventi evidente nel momento in cui si attiva per causare un attacco acuto di herpes zoster (conosciuto con il nome di Fuoco di Sant’Antonio). In genere si presenta come un bruciore, un dolore formicolante con occasionali componenti lancinanti che possono precedere la comparsa di piccole vescicole cutanee distribuite sui nervi cutanei o nervi in due o tre giorni. A sua volta, questo può portare al persistere spiacevole del dolore sotto forma di nevralgia post-erpetica (PHN).

L’articolazione sacro iliaca è anche nota come articolazione ileo sacrale. Connette la parte lombare della colonna vertebrale con la pelvi per mezzo di un apparato legamentoso in tensione. In ragione della solida struttura di supporto presente, l’articolazione sacro iliaca non ha un elevato grado di mobilità. Tuttavia può subire degli spostamenti tramite l’applicazione di forze elevate o l’assunzione di posture scorrette. Anche i più piccoli spostamenti nell’articolazione sacro iliaca possono causare intensi mal di schiena. Un blocco dell’articolazione sacro iliaca, un cosiddetto blocco sacroiliaco, può essere causato dall’applicazione improvvisa di una forza durante l’esecuzione di un esercizio o in seguito a un incidente.
Il dolore all’articolazione sacro iliaca può inoltre insorgere in conseguenza di logoramento (osteoartrite), allentamento della sinfisi durante la gravidanza, instabilità del cingolo pelvico, o spondilite anchilosante. I muscoli e i tendini dell’articolazione sacro iliaca possono inoltre provocare dolore all’articolazione sacro iliaca stessa in seguito a sforzo eccessivo, a posture scorrette prolungate nel tempo o a caricamento erroneo.
Dolore tipico in caso di patologie dell’articolazione sacro iliaca
Le persone colpite avvertono dolore nell’area dell’articolazione sacro iliaca. Il dolore può anche irradiarsi fino alla colonna vertebrale lombare e alle gambe. Un dolore simile è generato dalle patologie interessanti il nervo sciatico. In caso di sciatica, unitamente al mal di schiena, si possono sperimentare intorpidimento e paralisi delle gambe oltre che problemi urinari e intestinali.
In caso di patologie relative all’articolazione sacro iliaca (sindrome sacroiliaca), il dolore alla schiena aumenta in intensità durante il giorno. I movimenti per raddrizzarsi e per sollevare oggetti pesanti risultano particolarmente dolorosi, così come restare in piedi per periodi prolungati.
Il dolore osteoartritico all’articolazione sacro iliaca inizialmente si presenta solo in presenza di sollecitazioni fisiche elevate. Con l’evolvere della patologia, le persone cominciano ad avvertire dolore anche in presenza di sollecitazioni normali, e in seguito anche a riposo.
La spondilite anchilosante è una condizione reumatica associata a processi infiammatori cronici dell’articolazione sacro iliaca comunemente osservati già in giovane età. Il primo sintomo di questa patologia è il mal di schiena durante la notte.

La spondilolistesi è una condizione patologica caratterizzata da un lento e progressivo spostamento  di una vertebra rispetto a quella sottostante. Diverse sono le cause che possono dare origine a questo disturbo a carico della colonna vertebrale. La sintomatologia è proporzionale all’entità dello spostamento vertebrale e si manifesta con il dolore tipico della lombalgia aggravato da sforzi fisici e con disturbi lombo-sacrali.
Le vertebre maggiormente colpite da questa condizione sono quelle lombari inferiori, soprattutto la quarta e la quinta lombare (L4 e L5) e la prima vertebra sacrale (S1).

INFORMATIVA SULLE TECNICHE DI TERAPIA ANTALGICA

TRATTAMENTI AMBULATORIALI

Costituiscono un importante strumento terapeutico o diagnostico.
Esse permettono di ridurre per un tempo variabile il dolore ma consentono di ottenere informazioni importanti sulle strutture da cui origina il dolore fornendo una mappatura del dolore molto precisa.
Al fine di iniettare in maniera sicura i farmaci (anestetici locali e potenti antinfiammatori steroidei) nelle strutture della colonna vertebrale responsabili della sintomatologia dolorosa,dolorosa, possono essere eseguite alla cieca o tramite l’utilizzo utilizza uno strumento chiamato fluoroscopio, che sfrutta i raggi x o un ecografo, per consentire all’operatore di visualizzare le strutture della colonna vertebrale e l’ago.

Le iniezioni peridurali sono un’opzione terapeutica non chirurgica che può fornire una riduzione del dolore radicolare di breve o lunga durata; cioè il dolore che insorge quando i nervi spinali sono irritati da una patologia della colonna che causa compressione sulle radici nervose (come un’ernia del disco o una stenosi del canale).

Clinicamente si può manifestare una lombalgia acuta o cronica e il dolore può irradiarsi ad un arto con intorpidimento e debolezza muscolare. Prima di prendere in considerazione un intervento chirurgico per alleviare i sintomi è raccomandata la valutazione di trattamenti non chirurgici, come per esempio l’infiltrazione peridurale.

Essa consiste nella somministrazione di un farmaco antinfiammatorio (tipicamente un cortisonico) associato ad un anestetico locale, direttamente nell’area circostante la radice nervosa irritata che sta causando il dolore. Quest’area è lo spazio peridurale e circonda la membrana protettiva – chiamata dura – che copre i nervi spinali e le radici nervose.

Il cortisone riduce l’irritazione del nervo inibendo la produzione di proteine che causano infiammazione; l’anestetico locale blocca la conduzione nervosa nell’area in cui è applicato, riducendo la sensazione dolorosa.

Un’iniezione peridurale può essere eseguita per ragioni diagnostiche o terapeutiche:
Iniettando i farmaci intorno ad una specifica radice nervosa, si può determinare se quella particolare radice è la sede anatomica da cui origina il dolore.
• Quando è utilizzata per motivi terapeutici, può fornire una riduzione del dolore di breve o lunga durata (cioè per un periodo che va da alcune settimane a diversi mesi). In alcuni casi, una iniezione peridurale può interrompere il circolo dell’infiammazione e garantire una analgesia permanente.

È importante notare, comunque, che l’iniezione peridurale non è da considerarsi una “cura” per la patologia che sta causando il dolore. Essa è piuttosto uno strumento terapeutico che può servire ad alleviare il dolore, mentre la causa del problema verrà trattata con un programma riabilitativo o con altre scelte terapeutiche interventistiche o chirurgiche.

Come si esegue?
• Il paziente viene posizionato in modo da fornire al medico un comodo accesso all’area della colonna da trattare. Di solito il paziente è prono.
• • Si disinfetta la cute con una soluzione antisettica nell’area dove verrà eseguita l’iniezione.
• • Si esegue un’anestesia locale del punto di iniezione.
• • Si dirige l’ago apposito verso lo spazio peridurale con o senza l’ausilio di un fluoroscopio (un apparecchio che sfruttando i raggi X permette di visualizzare l’ago e le strutture ossee) o di un ecografo.
• • Si può iniettare una piccola dose di mezzo di contrasto per confermare la corretta posizione dell’ago.
• • Si inietta quindi la soluzione di anestetico locale/cortisonico nello spazio peridurale.
• • Si rimuove l’ago, si disinfetta la cute e si appone una piccola medicazione protettiva.
• La procedura di solito richiede circa 15-30 minuti. Dopo l’iniezione, il paziente verrà monitorato per circa 30-60 minuti. Non deve guidare, quindi è meglio che venga accompagnato.
È necessario evitare attività pesanti durante tutta la giornata.
Il medico saprà fornire eventuali altri consigli o raccomandazioni specifici caso per caso. Se dopo l’infiltrazione si ottiene una buona analgesia per un periodo di tempo breve, questa può essere ripetuta.

TRATTAMENTI DI CHIRURGIA MININVASIVA

La periduroscopia, l’esplorazione endoscopica dello spazio peridurale lombosacrale, è una nuova tecnica utilizzata nella valutazione e nel trattamento della lombalgia.
Lo spazio peridurale non è uno spazio virtuale, come si è sempre pensato. Esso è una cavità al cui interno sono presenti tessuto adiposo, membrane fibrose, legamenti, vasi linfatici e sanguigni, e un esteso plesso di tessuto nervoso.
Tutte queste strutture e tessuti svolgono un ruolo importante nel corretto funzionamento della colonna vertebrale (che come sappiamo deve eseguire molti movimenti) e dei componenti del sistema nervoso centrale in essa contenuti.
Lo spazio peridurale è molto piccolo, il che rende difficoltosa la visualizzazione endoscopica diretta di tutte queste strutture.
Tuttavia oggi, utilizzando una combinazione di fibre ottiche di nuova generazione, l’ingrandimento delle immagini con monitor ad alta definizione, le proprietà meccaniche del periduroscopio, in aggiunta alla infusione di soluzione fisiologica e alla fluoroscopia, alcuni aspetti dello spazio peridurale possono essere studiati in grande dettaglio, senza i disagi causati da esplorazione chirurgica.
Così, possiamo ottenere importanti informazioni sulla anatomia e patologia della cavità epidurale in pazienti con lombalgia e/o dolore radicolare.
La funzione visiva della periduroscopia può essere utilizzata per identificare alcuni aspetti patologici dello spazio epidurale, come iperemia, cambiamenti nella vascolarizzazione, la presenza di fibrosi e aderenze, una stenosi del recesso laterale, un’ernia del disco e l’ipertrofia del legamento giallo.
La fluoroscopia consente di conoscere la posizione esatta della punta dello strumento rispetto al canale spinale osseo, mentre la visualizzazione diretta dà l’orientamento relativo rispetto alle strutture anatomiche circostanti, come la dura, le tasche radicolari, i gangli della radice dorsale, il legamento longitudinale posteriore.
Poiché il periduroscopio può essere manovrato, è un ottimo strumento per valutare una eventuale ridotta pervietà del canale spinale e dei forami di coniugazione a livello lombare.
Il canale di lavoro dell’endoscopio può essere utilizzato anche per l’iniezione di mezzo di contrasto per identificare piccoli difetti o discontinuità delle strutture anatomiche.
Utilizzando una combinazione delle tecniche sopra menzionate, la patologia dello spazio peridurale può essere valutata sistematicamente, con maggiore precisione rispetto a tecniche diagnostiche più convenzionali, come la risonanza magnetica.
Oltre alla sua funzione diagnostica, la periduroscopia può essere utile per eseguire dei trattamenti specifici.
Ad esempio, mediante l’uso di palloncini specificamente progettati o di speciali elettrobisturi miniaturizzati, può essere usata per rimuovere aderenze post-chirurgiche.

Ovviamente, il successo del trattamento dipende dalla patologia sottostante.
Tra le condizioni in cui è indicata l’endoscopia spinale:
• dolore persistente post intervento chirurgico alla colonna vertebrale;
• la sindrome post-laminectomia lombare;
• la presenza di aderenze epidurali;
• alcune forme di stenosi del canale vertebrale.
L’intervento viene eseguito in anestesia locale, eventualmente con una blanda sedazione.
L’accesso è tramite la parte finale dell’osso sacro e non richiede incisioni chirurgiche .
Al massimo un piccolo punto di sutura riassorbilbile nel punto dove viene inserito il mandrino introduttore.

Le proprietà analgesiche del freddo sono note da molti secoli, ma solo l’ultima generazione di sistemi di crioanalgesia consente di ottenere un’efficace e selettiva azione sulle fibre del dolore mantenendo intatte le altre componenti nervose. L’applicazione del freddo blocca il segnale nervoso (per un periodo di circa 1 anno).
L’analgesia di lunga durata si ottiene grazie alla formazione di cristalli di ghiaccio all’interno dei tessuti che causano un danno cellulare temporaneo. Questo induce un’interruzione selettiva della trasmissione dell’impulso nervoso delle fibre che trasportano il dolore.

Questa tecnica è stata scientificamente verificata ed è ampiamente utilizzata all’estero per la sua sicurezza ed efficacia. In Italia è stato recentemente introdotto un nuovo sistema avanzato e sofisticato.
La crioanalgesia è una metodica mini-invasiva ambulatoriale, che consente di lasciare in poche ore la struttura nella quale viene applicata e di riprendere le normali attività in un periodo di tempo breve rispetto alla prestazione.
L’area da trattare viene infiltrata con un anestetico locale, in modo che l’introduzione della criosonda non sia fastidiosa.
• il trattamento non è doloroso
• il post operatorio rapido
• la medicazione viene rimossa entro le 2 ore dall’intervento
• il sito della puntura viene medicato con crema cortisonica e coperto da cerotto per 1 settimana.
• si incoraggia il paziente a riprendere le sue abituali attività entro le successive 72 ore, grazie anche al fatto che il dolore post-operatorio è quasi nullo.
La crioanalgesia può essere indicata per il trattamento del dolore che origina:
• faccette articolari
• articolazione sacroiliaca
• ginocchia
• spalle
• piedi
• anche
• nervo occipitale.
I principali vantaggi rispetto ad altre tecniche sono:
• anestesia locale
• nessun dolore durante il trattamento
• nessuna interferenza con altri sistemi impiantabili
• recupero immediato delle normali attività
• riduzione immediata del dolore

I trattamenti intradiscali sono una categoria di procedure che appartengono al gruppo dei trattamenti mininvasivi percutanei, cioè interventi che tendono a ottenere un risultato terapeutico senza intaccare le strutture anatomiche che si incontrano tra la cute e l’organo bersaglio (in questo caso il disco intervertebrale). Generalmente, vengono eseguiti in anestesia locale senza incisioni chirurgiche.
Si dividono in due principali categorie:
1. Decompressione Radicolare Per Via Intradiscale: cioè interventi con l’obiettivo di ridurre la compressione che il disco erniato o protruso esercita sul nervo. Quindi, gli interventi appartenenti a questo gruppo, trovano indicazione nel trattamento del dolore radicolare.
2. Termolesione dell’innervazione Del Disco: cioè interventi con l’obiettivo di ridurre la funzionalità dei nervi che trasmettono il dolore nato all’interno del disco intervertebrale. Come secondo obiettivo hanno la riparazione delle fissurazioni dell’anulus che sono alla base della patologia degenerativa dei dischi intervertebrali. In questo caso si tratta di dolore lombare detto “dolore discogeno”.

La cifoplastica, è una procedura percutanea, mininvasiva che intende ridurre e stabilizzare la frattura, oltre a ripristinare l’altezza del corpo vertebrale La Cifoplastica serve quando un paziente anziano si presenta con un esordio improvviso di dolore alla schiena, frequentemente si tratta di una frattura vertebrale, che è, in genere, una complicanza dell’osteoporosi . Le opzioni di trattamento della frattura sono limitate. Mentre il trattamento dell’osteoporosi è farmacologico, il trattamento abituale delle fratture comprendeva il riposo a letto, la somministrazione di analgesici narcotici e uso del busto. Ma queste non sono soluzioni complete, la deformità della colonna riduce la mobilità del paziente, la funzionalità polmonare e la qualità della vita in generale, oltre ad essere causa di mortalità precoce. Studi scientifici evidenziano significativi benefici per i pazienti a riguardo di: – sollievo dal dolore – recupero della autonomia motoria – miglioramento della qualità della vita Come si esegue? Dopo avere eseguito un’anestesia locale, si inserisce una cannula all’interno del corpo vertebrale fratturato. Successivamente, viene inserito un palloncino nella cannula che viene gonfiato con lo scopo di risollevare il corpo vertebrale fratturato. Dopo aver rimosso il palloncino, si inietta un particolare tipo di cemento (chiamato polimetilmetacrilato), che solidificandosi in pochi minuti, stabilizza la frattura. Il tempo medio necessario per eseguire l’intervento è di circa 40 minuti. Nell’immediato post-operatorio il paziente potrà avvertire un dolore legato al passaggio delle cannule all’interno dei muscoli paravertebrali. Di solito è sufficiente l’assunzione di un comune analgesico per controllare tale dolore. Dopodiché, una volta dimesso, il paziente potrà riprendere le sue normali attività quotidiane. È importante, in questi pazienti, valutare attentamente lo stadio dell’osteoporosi e impostare un adeguato trattamento farmacologico, per ridurre il rischio di altre fratture.

La denervazione delle faccette articolari (anche detta termolesione, neurotomia, neuroablazione o neurolisi termica), utilizza un tipo particolare di energia, detta radiofrequenza, per interrompere temporaneamente la trasmissione elettrica dei nervi che trasmettono il segnale dolorifico dalle articolazioni posteriori della colonna vertebrale (chiamate faccette articolari). Questo nervo è chiamato branca mediale e ogni faccetta riceve l’innervazione dal nervo che origina da due diversi livelli. Prima di eseguire questa procedura, il paziente deve avere risposto positivamente ai blocchi test con anestetico locale della branca mediale. Se il dolore passa, il paziente è un candidato alla termolesione, che verrà eseguita dopo la ricomparsa del dolore.

Come si esegue?
È eseguita di solito in day-hospital e dura circa 45 minuti. Durante la procedura, verranno monitorati i parametri vitali (elettrocardiogramma, pressione arteriosa…). Verrà utilizzato un apparecchio, detto amplificatore di brillanza (o fluoroscopio), che consentirà al medico di vedere la colonna vertebrale e quindi le strutture da raggiungere. Dopo avere eseguito un’anestesia locale della cute, verrà posizionato un ago in corrispondenza del punto di passaggio della branca mediale.

Per confermare l’esatta posizione dell’ago verrà mandata una stimolazione sensitiva (che il paziente avvertirà come se fosse un imitazione del suo dolore) e una stimolazione motoria (per verificare che l’ago non sia in vicinanza di un nervo diverso). Ciò è indispensabile per ridurre i rischi di complicanze. Infatti, se il paziente dovesse sentire la stimolazione in un’area diversa da quella del dolore usuale, dovrà avvertire il medico, che procederà quindi a posizionare meglio l’ago. Una volta confermata l’esatta posizione dell’ago, si eseguirà un’anestesia locale del nervo e si procederà quindi alla termolesione, somministrando la radiofrequenza al nervo. La lesione dura circa un minuto per nervo e, di solito, non è dolorosa. È necessario che il paziente sia sveglio e collabori con il medico per avvisarlo se dovesse sentire qualche stimolo alle estremità.
Il paziente verrà dimesso dopo circa un’ora, se i parametri vitali saranno stabili e se il paziente sarà in grado di muoversi liberamente (almeno come prima della procedura). A volte, infatti l’anestesia locale praticata sul nervo può determinare un transitoria debolezza degli arti inferiori (della durata massima di qualche ora). È importante che il paziente non guidi o non utilizzi macchinari pericolosi per le successive 24 ore.
La denervazione delle faccette non è irreversibile, ma dura circa 6 mesi/1 anno. Infatti, le fibre della branca mediale lesionata, dopo un certo periodo di tempo ricominciano a funzionare e il dolore potrà tornare. Talvolta l’efficacia è più prolungata nel tempo. Nel periodo di riduzione del dolore, il paziente potrà iniziare un programma di fisioterapia volto ad irrobustire la muscolatura della schiena, in modo da ridurre le sollecitazioni dirette alla colonna vertebrale. Se il dolore torna, la procedura può essere ripetuta.

Negli anni Novanta una nuova metodica di radiofrequenza pulsata (PRF) esponeva le strutture nervose bersaglio a una temperatura non lesiva, cioè inferiore a 44 gradi.  Questa corrente è erogata da un generatore e trasmessa a un sottile ago elettrodo che è inserito dentro un ago guida completamente teflonato tranne che nella sua parte distale (punta attiva) la cui lunghezza varia da 2 a 15 mm. Nella maggior parte dei casi la punta attiva misura 4 o 5 mm Attraverso questa punta fluisce la corrente e, grazie ad un sensore di temperatura posto alla sua estremità, viene monitorata la temperatura dei tessuti nei quali si trova l’ago.  Durante le applicazioni a RF attorno alla punta dell’ago si genera un campo elettrico. Questo si forma nel tessuto circostante la punta attiva e come ogni materia attraversata da corrente elettrica, anch’esso avrà una propria impedenza.  Un importante effetto secondario è rappresentato dal fatto che il tessuto sottoposto a questo attraversamento di corrente elettrica si riscalda, secondo il principio noto come “effetto Joule”. Il fenomeno che tradizionalmente è stato sfruttato a scopi antalgici è sempre stato questo, cioè la formazione di calore per produrre lesioni termiche nei tessuti nervosi con i quali l’ago veniva posto a contatto. A tal proposito occorre ricordare che non è la punta dell’ago che viene riscaldata dalla corrente elettrica e che quindi riscalda il tessuto con il quale è posto a contatto. Al contrario, l’ago si riscalda perché a contatto con il tessuto circostante che a sua volta, quando attraversato da una corrente elettrica, si surriscalda per l’effetto Joule. In queste condizioni, dunque, la termocoppia all’interno dell’ago misura la variazione di temperatura del tessuto durante il trattamento a RF e comunica il dato al generatore che lo rende visibile in un display. Il valore di temperatura è una guida utilissima per permetterci di effettuare una lesione controllata e riproducibile. Esso è solo leggermente inferiore all’effettiva temperatura raggiunta nei tessuti grazie a un modesto assorbimento che si realizza alla punta dell’ago. Il principio fisico è semplice: intervallare l’applicazione del segnale a radiofrequenza con periodo a segnale nullo. La metodica viene eseguita in sala operatoria, in monitoraggio, sotto controllo fluoroscopico in anestesia locale e blanda sedazione.

Indicazioni

La SCS è impiegata a supporto della gestione del dolore cronico intrattabile del tronco e/o degli arti, incluso il dolore mono o bilaterale associato alle seguenti condizioni: sindrome da fallimento chirurgico spinale, dolore intrattabile alla regione lombare o agli arti inferiori, angina pectoris, vasculopatia periferica.
Funzionamento
I sistemi SCS includono dispositivi impiantabili simili per aspetto e funzionamento ai pacemaker. La semplice procedura di impianto consiste nel posizionamento di un elettrocatetere nello spazio epidurale sopra il midollo spinale, mentre il generatore viene posizionato generalmente a livello addominale. Una volta impiantato e programmato, il sistema SCS eroga lievi impulsi elettrici che stimolano fibre nervose selettive lungo il midollo spinale, causando una parestesia nell’area interessata dal dolore. I ricercatori ipotizzano che la stimolazione delle fibre nervose blocchi o riduca l’intensità del messaggio doloroso trasmesso al cervello. L’obiettivo della SCS è di coprire l’area dolorosa con la parestesia senza causare risposte motorie indesiderate o sensazioni dolorose.

I componenti
Generalmente, i sistemi SCS comprendono un generatore di impulsi impiantabile (IPG, implantablepulse generator) che genera impulsi elettrici, uno o più elettrocateteri che erogano gli impulsi al midollo spinale attraverso piccoli elettrodi e un programmatore esterno che consente di regolare l’intensità e la zona della stimolazione. La scelta del sistema SCS appropriato si basa sulla tipologia di dolore del paziente e sull’energia richiesta al sistema per conseguire la copertura di tale pattern.
Il neurostimolatore è un piccolo dispositivo, simile per dimensioni a un cronometro, che contiene una batteria e i componenti elettrici che inviano gli impulsi agli elettrocateteri. Gli IPG ricaricabili contengono una batteria ricaricabile e sono particolarmente adatti per i pazienti con requisiti di energia da bassa a elevata e che sono disposti a seguire regolarmente il protocollo di ricarica.
Gli IPG non ricaricabili (a cella primaria) sono simili a quelli ricaricabili, ma non necessitano di ricarica. Sono la scelta ottimale per pazienti con requisiti di bassa energia e pattern di dolore semplici.
Esistono ora in commercio anche stimolatori privi di batteria impiantatile che funzionano in modalità wireless con un generatore esterno.

Trattamento endoscopico della sindrome dell’articolazione sacroiliaca
Il dolore, che deriva da una Sindrome dell’articolazione sacroiliaca (SIJS) è comunemente sentito nella parte bassa della schiena, nella regione glutea, nell’anca e nella coscia e può persino irradiarsi nella gamba e nel piede. Può peggiorare con movimenti che esercitano pressione sull’articolazione, come alzarsi da una posizione seduta, camminare verso l’alto, sedersi o camminare a lungo, o movimenti di torsione. In media il 45% dei casi colpisce il diritto e il 35% l’articolazione sacroiliaca sinistra. I sintomi bilaterali si possono trovare in circa il 20%. 1
Combinando vari test di provocazione, l’articolazione sacro-iliaca può essere diagnosticata clinicamente come causa della lombalgia. Ulteriori passi includono tecniche di imaging come X-Ray, TC o MRI. Tuttavia, una diagnosi definitiva potrebbe richiedere un blocco articolare SI intraarticolare poiché è il test standard di riferimento per la diagnosi di Sindrome dell’articolazione sacroiliaca.

Attraverso un set di strumenti dedicati per il trattamento del dolore endoscopico minimamente invasivo, le fibre nervose che causano dolore sono identificate e trattate in modo selettivo. Il tessuto viene risparmiato e i muscoli e i legamenti non vengono danneggiati. Il metodo rende il successo della terapia a lungo termine grazie alla procedura controllata endoscopica. Allo stesso tempo, circondando il tessuto, i muscoli e i legamenti sono protetti per preservare la stabilità del midollo spinale.

Sotto visione endoscopica, il tessuto viene rimosso L’ablazione a RF ai nervi conduttori del dolore che emergono dal forame sacrale e procedono in direzione laterale viene eseguita alle ore 12 e alle ore 6 sul bordo laterale del forame.